Segnalatore ANTONIO MANGIA di Torre San Giovanni (Ugento)

Segnalatore ANTONIO MANGIA di Torre San Giovanni (Ugento)

 

CINQUE ANNI VISSUTI IN MARINA
1940 – 1945

Lucio Causo e Antonio Mangia 001

Lucio Causo e Antonio Mangia

 

Alle Terme di Santa Cesarea, caratteristica cittadina balneare del Salento, sul mare Adriatico, il 28 luglio 2009 ebbi modo di conoscere all’Hotel Palazzo, l’ex Segnalatore Antonio Mangia di Torre San Giovanni (Ugento) nato il 28 maggio 1924, e con l’occasione mi feci raccontare le vicende dei cinque anni di guerra trascorsi nella Marina Militare italiana dal 1940 al 1945.

Sin da ragazzo Antonio aveva vissuto in un ambiente molto triste per la mancanza della madre; a dodici anni aveva perduto anche il padre che si era risposato, ed era stato cresciuto ed assistito dalla sorella più grande.

Il 7 settembre 1940, all’età di 16 anni e 3 mesi, si arruolò nella Marina Militare come segnalatore nella Capitaneria di Porto di Brindisi. Dopo qualche tempo, fu trasferito a Taranto per frequentare il corso di allievo segnalatore. 

Completato il corso, passò alla scuola segnalatori di Pola, dove per cacciare i sommergibili in profondità veniva usato l’idrofono; con questo apparecchio si sentiva il rumore del sommergibile quando aveva i motori accesi. 

Da Pola gli allievi passarono alle scuole di Varignano, presso La Spezia, dove vennero destinati a rimanere imbarcati sulle siluranti (torpediniere e cacciatorpediniere). 

Per migliorare l’addestramento, Antonio fu trasferito alla scuola tedesca di Gdinya; il nome della città fu cambiato in Gutenacht, parola tedesca che significa Buonanotte, perché quella città venne conquistata dai tedeschi in una notte nel 1939 durante l’avanzata in Polonia. 

A quel tempo le siluranti italiane erano in allestimento ai cantieri navali di La Spezia per l’installazione degli ecogoniometri, necessari per stanare i sommergibili nemici nel fondo del mare.

A Gdinya le prove in mare erano ritardate perché la rada era completamente ghiacciata tanto che i marinai tedeschi si divertivano a pattinare sul ghiaccio. Per poter uscire in mare aperto dovettero intervenire i rompighiaccio che finalmente liberarono la rada dalla spessa superficie di acqua ghiacciata. Si riuscì a prendere il largo con navi tedesche e furono effettuate le prime prove di pratica con i nuovi strumenti antisommergibili. Antonio, rientrato in Italia, venne imbarcato sul cacciatorpediniere “Grecale”, che era caposquadriglia. (1)

Il 21-22 marzo 1942 il “Grecale” partecipò alla 2^ battaglia della Sirte. Il mare era agitato, e verso mezzogiorno aumentò fino a forza 9, le onde erano così alte che superavano la controplancia. L’Ammiraglio Iachino, comandante della squadra navale, a bordo della corazzata “Littorio”, ordinò ai cacciatorpediniere di attaccare le unità nemiche. Il “Grecale”, in fase di accostamento per mettersi in posizione d’attacco, sentì che a causa del mare grosso il timone non rispondeva più, era in avaria. Il comandante del cacciatorpediniere perduto il controllo della nave, s’accorse che stava andando incontro alla corazzata “Littorio” che con una rapida accostata riuscì ad evitare lo speronamento. Fu allora che il “Grecale” segnalò “Avaria al timone”. La nave ammiraglia rispose “Libertà di manovra”. (2)

La corazzata “Littorio” cominciò a sparare con i suoi grossi calibri e colpì una nave mentre gli inglesi si ritiravano. Sul cacciatorpediniere in avaria, il comandante dette l’ordine di usare il timone di riserva a mano per cercare di raggiungere le unità della squadra. Dopo l’avaria al timone ecco che il “Grecale” segnalò avaria alle macchine. Il comandante ordinò di usare le pompe a mano per tenere la nave a galla. Per assicurare questo servizio, furono formati tra i marinai dei turni di squadra. Anche la nafta fu pompata a mano dal deposito alle caldaie a mano. In questo modo il cacciatorpediniere 4 miglia all’ora. Ma non era finita perché a un certo momento fece avaria anche la radio trasmittente. Il trasmettitore era saltato in aria e si era completamente fuso. Il “Grecale” poteva ricevere le comunicazioni ma non trasmetterle. Per mancanza di segnalazioni la nave ammiraglia dichiarò la nave “Grecale” ed i suoi marinai per tre giorni. A causa del mal tempo e del mare completamente infuriato, due cacciatorpediniere il “Lanciere” e lo “Scirocco” furono inghiottiti dalle onde altissime con quasi tutti i marinai che erano a bordo. Di circa 500 uomini di equipaggio se ne salvarono soltanto sei. Per tre giorni il “Grecale” girovagò senza meta al largo dell’isola di Malta nel Mediterraneo Centrale, poi finalmente raggiunse le coste della Calabria e riuscì ad entrare nel porto di Crotone. 

Appena il cacciatorpediniere attraccò alla banchina, i marinai trovarono un’accoglienza straordinaria: schiere di giovani fascisti con bandiere e gagliardetti, autorità e militari salutarono con la banda i valorosi dispersi che rientravano in porto tutti sporchi e sofferenti. Quella mattina fu una gran festa per tutto l’equipaggio. La sera giunse da Messina una compagnia teatrale per allietare i marinai che per miracolo si erano salvati dal fortunale. Dopo qualche giorno il Comandante dette l’ordine di prepararsi per rientrare a Taranto. Infatti, l’Ammiragliato fece partire un apposito rimorchiatore per tirarsi dietro il “Grecale”, fino alla base, con tutto l’equipaggio a bordo. 

Giunto a Taranto, il cacciatorpediniere entrò in arsenale per le riparazioni dei danni causati dal mare in tempesta: l’urto potente delle onde in Mediterraneo aveva, fra l’altro, ammaccato lo scudo di protezione del cannone di prora ed aveva divelto e scaraventato in mare il motoscafo del Comandante, che andò perduto. I marinai ebbero tutti venti giorni di licenza e rientrarono a casa. Antonio tornò ad Ugento per trascorrere qualche giorno di riposo con i genitori e i congiunti. Ma dopo sette giorni che stava a casa si sentì male, aveva dei forti dolori al basso ventre. Il medico che lo visitò diagnosticò appendicite acuta con peritonite. Venne ordinato il ricovero immediato all’Ospedale Militare di Taranto e il padre lo accompagnò col taxi in quella città. Antonio fu immediatamente operato e si salvò appena in tempo mediante l’asportazione dell’appendicite che era ormai marcia e le continue cure ospedaliere. Se avesse tardato ad operarsi sarebbe morto. Antonio ricorda che l’ospedale si trovava a San Giorgio Ionico ed era un edificio scolastico requisito ed adibito ad ospedale militare. Dopo tre giorni di permanenza in ospedale il povero Antonio si aggravò. Venne isolato in una stanza con assistenza continua e con chiusura di tutte le fessure e la porta d’ingresso con cotone idrofilo per non fare entrare l’aria: poteva ammalarsi di polmonite e sarebbe stata la fine. Dopo due mesi di convalescenza in ospedale, alla fine di giugno fu dimesso con 20 giorni di riposo a casa ed Antonio tornò ad Ugento molto dimagrito. Prima di lasciare l’ospedale si raccomandarono di stare attento perché aveva rischiato di morire: dopo l’intervento continuava a peggiorare; poiché non dava segni di ripresa chiamarono persino il cappellano per l’estrema unzione. Tornato a Brindisi per la visita di controllo, ebbe 30 giorni di convalescenza e poi altri quindici: era ridotto pelle e ossa ed aveva bisogno di cure e di buona alimentazione. All’ultima rassegna, la Commissione medica dell’Ospedale di Brindisi riconobbe Antonio idoneo al servizio militare e fu inviato al deposito CREMM di Taranto, in attesa di destinazione. Dopo 6 giorni, un sottufficiale lo svegliò di notte e gli ordinò di presentarsi al Comandante della Segreteria Dettaglio, un Capitano che gli consegnò l’ordine d’imbarco sulla petroliera “Proserpina” (3) in qualità di segnalatore. Antonio si meravigliò perché la sua qualifica era di ecogoniometrista e dipendeva dal Comando della Marina Militare. Fece qualche rimostranza ma non fu presa in considerazione, gli ordini erano che doveva partire per Tobruk con la petroliera carica di 9.000 tonnellate di benzina e 3.000 di olio lubrificante. Si trattava di un piccolo convoglio in partenza da Taranto per l’Africa settentrionale, costituito dalla petroliera “Proserpina”, da una motonave carica di materiale generico: viveri, automezzi, pezzi di ricambio, e da un piccolo mercantile tedesco carico di carri armati e relative munizioni. Il piroscafo tedesco faceva 9 miglia all’ora, rallentando la velocità del piccolo convoglio ed impegnandolo ad impiegare due giorni in più per arrivare al porto di Tobruk. All’alba del giorno x, le navi partirono da Taranto scortate dalla torpediniera “Lira” e da due motosiluranti veloci. Era la fine del mese di ottobre del 1942, il tempo minacciava pioggia e foschia, non si vedeva niente, ma la navigazione procedeva bene. La mattina del quarto giorno, a circa 30 miglia da Tobruk, il convoglio fu avvistato e bombardato da una squadriglia di bombardieri inglesi del tipo “Beaufort”. Le bombe cominciarono a venire giù come caramelle al vento. La petroliera fu colpita da una bomba, che i marinai si affrettarono a chiamarla “intelligente”perché non esplose. S’infilò nei pozzi di benzina senza scoppiare, nella parte di centro-sinistra della petroliera. Lo spostamento dell’aria fece dilatare le lamiere allentando i bulloni. La benzina depositata incominciò a filtrare perdendosi in mare. Si vedeva la macchia oleosa e maleodorante che galleggiava allargandosi sempre di più. Un vero miracolo! 

Verso le ore dodici comparve in cielo una squadriglia di aerei inglesi che cominciò a bombardare le navi mentre i marinai erano impegnati a consumare il loro pranzo. Forse lo facevano apposta, per mettere in atto la loro “guerra psicologica”. Alcune bombe caddero sul piroscafo tedesco che saltò in aria con un forte boato: era stato colpito in pieno e tutto il carico era andato perduto. Le schegge si vedevano volare con i binocoli. 

Alle 14,20 furono avvistati di nuovo i “Beaufort” inglesi che si lanciarono all’attacco della petroliera. Una bomba lanciata a poca distanza dagli inglesi, colpì la petroliera a poppa: ebbe così inizio l’incendio della parte poppiera della nave. I marinai correvano sul ponte con le manichette dell’acqua nel disperato tentativo di spegnere l’incendio; malgrado tutti gli sforzi l’incendio continuava ad aumentare invece di diminuire. All’improvviso prese fuoco anche la benzina che si era versata in mare. Dopo circa mezz’ora di lotta senza speranza e per paura di esplosione della petroliera, il Comandante dette l’ordine di “Abbandono nave!”. I marinai superstiti si gettarono in acqua sperando di essere salvati dal naviglio di scorta. Dopo tre ore di naufragio furono salvati dalla torpediniera “Lira” che stava incrociando lì nei pressi per portare in salvo i marinai. Anche Antonio fu salvato mentre la petroliera era ormai preda delle fiamme che ardevano alte verso il cielo. Morirono soltanto due mitraglieri dell’esercito che erano stati imbarcati sulla “Proserpina”, per contrattaccare con le armi di bordo gli aerei nemici, perché i mitraglieri della Marina Militare non poteva essere imbarcati sulle navi mercantili per far funzionare le loro armi. Un Sottotenente, un sottufficiale e sette mitraglieri, non potendo più sparare, si gettarono a mare da poppa e due mitraglieri finirono sotto le eliche che li squartarono. Anche la terza nave trasporto fu colpita e colò a picco in pochi minuti, ma i marinai che riuscirono a saltare in acqua furono tutti salvati. Effettuato il salvataggio, la “Lira” (4) e le due motosiluranti rientrarono alla base con i marinai superstiti. Sbarcati a Taranto, i naufraghi ebbero 30 giorni di licenza e un anno di destinazione a terra. 

Terminata la licenza, Antonio rientrò al deposito CREMM di Taranto e lo stesso Capitano che lo aveva imbarcato sulla petroliera affondata, lo destinò alla Stazione Segnalatori di Maruggio. Antonio reclamò di nuovo, ma dovette partire per Maruggio. Dopo venti giorni di servizio “diana”(dalle ore 4 di mattina alle 8) come radio segnalatore, giunse un dispaccio urgente per presentarsi alla Scuola di Ecogoniometria di Varignano, a La Spezia. La mattina successiva dovette partire per raggiungere il Comando Autonomo Ecogoniometristi di Varignano. Giunto al Comando, il Sottufficiale di Guardia gli disse: “ Mangia, finalmente sei rientrato!”, perché risultava disertore. Il Capitano di Commissariato vedendolo si meravigliò. Allora Antonio dovette raccontare tutta la storia dell’imbarco sulla petroliera “Proserpina”, dell’affondamento, del naufragio e dello sbarco a Tobruk con destinazione Tripoli. Risultando disertore, fu messo agli arresti perché non esisteva alcuna comunicazione ufficiale che dimostrasse il contrario. Nonostante ciò, il Comandante, sempre più meravigliato della storia, cominciò a documentarsi su tutte le vicende del Mangia. Dopo due ore di rapporto e di dettagli, Antonio finalmente fu prosciolto con vive congratulazioni per aver salvato la vita. Adesso si sarebbe presentato alle Aule della Scuola di Ecogoniometrista per conseguire il brevetto di istruttore. Dopo 20 giorni di licenza premio, Antonio fu nominato istruttore a La Spezia ed incominciò ad addestrare i giovani marinai all’uso dell’ecogoniometro contro i sommergibili nemici. In seguito agli eventi bellici dell’8 Settembre 1943, Antonio lasciò la sede di La Spezia e riparò al Sud, presentandosi al Comando Marina di Taranto. Per la sua specialità di ecogoniometrista, fu imbarcato sul cacciatorpediniere “Sagittario”, destinato a combattere i sommergibili germanici, prima come cobelligerante e poi come alleato degli inglesi e degli americani. Con grande soddisfazione seppe che il Capitano che lo aveva fatto imbarcare sulla petroliera “Proserpina” fu mandato a La Maddalena per punizione. 

Verso la fine della guerra, Antonio fu informato che per legge, i Sottufficiali potevano poteva passare alla Polizia di Stato mantenendo lo stesso grado avuto in guerra. 

Antonio accettò il passaggio e venne nominato Brigadiere della Questura di Bari, passato poi al Commissariato di Bitonto. Il 10 gennaio 1975 andò in pensione col grado di Maresciallo Capo della Polizia di Stato. Sposato con una gentile Signora di Bitonto, ha avuto una figlia, con le quali ha vissuto serenamente da pensionato in quella bella città di mare.

Per il suo valoroso comportamento in guerra, Antonio Mangia ebbe il conferimento di due CROCI DI GUERRA della Marina Militare Italiana.

6 Agosto 2022 – Lucio Causo

 

(1) Cacciatorpediniere “Grecale” apparteneva alla classe Venti o Maestrale (Maestrale, Scirocco, Grecale e Libeccio) progettati nel 1930 e varati nel 1934, entrarono in servizio nello stesso anno. Rappresentarono il cacciatorpediniere italiano moderno. Armamento: 4 pezzi da 120/50, 6 tubi lanciasiluri da 533 mm., un discreto numero di mitragliere e di un sistema per la posa di mine molto avanzato. Nel 1935-36 furono impostati altri 4 cacciatorpediniere dello stesso tipo che costituirono la Classe Oriani ed entrarono in servizio nel 1937. Costituirono una delle migliori squadriglie, la 9^, di naviglio sottile della Marina italiana. Delle otto unità sopravvissero alla guerra solo il caccia Grecale e l’Oriani. Il primo terminò la sua esistenza negli anni Sessanta, mentre il secondo venne ceduto nel 1948 alla Francia, dove prese il nome di D’Estang. Durante la guerra dimostrarono ottime possibilità d’impiego nella scorta alle da carico.

(2) Le due navi da battaglia (Classe Vittorio Veneto) furono impostate nel 1934 con i nomi di Vittorio Veneto e Littorio e con i nuovi cannoni da 381/50 mm. che offrivano serie garanzie di buona riuscita. Avevano 41.782 tonnellate di stazza e 139.561 HP con 239 giri delle eliche che permettevano di raggiungere i 31.239 nodi di velocità. Iniziata la costruzione nel 1934, le due corazzate furono completate nel 1937 ed entrarono in servizio con gli equipaggi non ancora perfettamente addestrati. La Littorio, armata con pezzi da 381, da 150 e da 240 laterali, tenne impegnati nel Mediterraneo forti aliquote del naviglio da battaglia britannico. La corazzata Littorio prese parte diretta alla 2^ battaglia della Sirte (specchio di mare tra Cirenaica e Tripoli), nel Mediterraneo, il 21/22 marzo 1942, al comando dell’Ammiraglio Angelo Iachino, che uscì in mare con la sua squadra navale, per attaccare le unità britanniche dirette a Malta con i rifornimenti. Alla fine della battaglia, le unità italiane ne uscirono vittoriose perché impedirono l‘arrivo delle navi da carico britanniche all’isola. La 1^ battaglia della Sirte si era svolta il 17 dicembre 1941 con la partecipazione delle corazzate Vittorio Veneto e Littorio che scortavano un convoglio di navi italiane dirette in nord Africa per rifornire le truppe italo-tedesche che combattevano nel deserto egiziano.

(3) Petroliera italiana di 4.869 tonnellate requisita dal Ministero della Marina per trasportare carburante necessario alle truppe che combattevano in Africa Settentrionale. Il 25 ottobre 1942 fu affondata da bombardieri inglesi “Beaufort” provenienti dall’Egitto, mentre era diretta a Tobruk con un carico di benzina e olio lubrificante.

(4) Torpediniera appartenente alla Cl. “Spica” – Tipo “Acione” – Autoaffondata a La Spezia dal proprio equipaggio in seguito all’armistizio dell’8 settembre 1943. Recuperata dai tedeschi all’inizio del 1944, fu nominata TA 49. Venne affondata da una bomba il 4 novembre 1944 durante un bombardamento aereo, mentre si trovava ancora in riparazione.

Un pensiero su “Segnalatore ANTONIO MANGIA di Torre San Giovanni (Ugento)

  1. Sono passati tantissimi anni da quell’incontro, scrissi l’articolo per la pubblicazione ma non fu possibile per una serie di eventi che me lo impedirono. Finalmente, tornato a casa, l’ho ripreso, e dopo modifiche, correzioni e ulteriori ricerche, l’ho pubblicato, mantenendo la parola data all’amico Antonio. Ora vorrei che lo leggesse con la sua famiglia.

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