La Corazzata Tascabile Admiral Graf Spee in navigazione nel 1939
Le tre navi inglesi procedevano in linea di fila: in testa l’incrociatore leggero “Ajax” su cui levava l’insegna il comandante della piccola squadra, il commodoro Harwood, al centro il secondo incrociatore leggero ”Achilles”, in coda l’incrociatore pesante “Exeter”, con i suoi pezzi da 203 millimetri, capaci di sparare a 20 chilometri di distanza. L’unità più potente della squadra, l’incrociatore “Cumberland”, otto cannoni da 203, era lontana, mille miglia a sud, in riparazione alle isole Falkland. Era il 13 dicembre 1939, un luminoso mattino di primavera nella zona australe. Le tre navi andavano verso sud, a dritta l’ampio estuario del Rio della Plata, a sinistra l’immensità dell’Atlantico. Dalla plancia dell’”Ajax”, Harwood scrutava l’orizzonte, certo di incontrare a quell’ora e in quel giorno, il suo potente nemico, il corsaro tedesco “Admiral Graf Spee”. Da una decina di giorni, il commodoro s’applicava alla soluzione di un difficile rompicapo. Il primo settembre 1939, Hitler aveva incominciato l’aggressione alla Polonia; il 3 settembre, Francia e Inghilterra avevano dichiarato guerra alla Germania.
Ammiraglio Graf Von Spee
Il terzo Reich non disponeva di una grossa marina militare, ma era pronto a insidiare il traffico marittimo con 56 sottomarini, e a condurre la guerra di corsa con navi camuffate e con le sue tre potenti corazzate tascabili, la “Deutschland”, poi ribattezzata “Lutzow”, la “Scheer” e la “Graf Spee”, varate tra il 1931 e il 1934. Il 30 settembre, 27 giorni dopo la dichiarazione di guerra, la “Graf Spee” fece la sua clamorosa comparsa, affondando al largo del Pernambuco, lo stato più occidentale del Brasile, il piroscafo “Clement”. Immediatamente, l’Ammiragliato britannico provvedeva all’organizzazione di nove gruppi di ricerca, composti complessivamente di 23 navi, e incominciava così la caccia al corsaro. La “Spee”, capace di navigare, con i suoi Diesel da 51 mila cavalli, alla velocità di 26 nodi, malgrado la corazzatura ragguardevole e il potente armamento, sei pezzi da 280 con una gittata di oltre 27 chilometri, otto pezzi da 150 e sei da 105, attraversava allora fulmineamente l’Atlantico da nord-ovest a sud-est, ricompariva al Capo di Buona Speranza, l’estremo sud del continente africano, affondava una nave, si eclissava di nuovo e non dava più notizie di sé per oltre un mese. Ma eccola, il 15 novembre, nel canale di Mozambico, tra l’Africa e il Madagascar. Affonda una cisterna, circumnaviga il Capo di Buona Speranza, rientra nell’Atlantico, manda a picco altre due navi, il 2 e il 7 dicembre.
E il commodoro Harwood che comanda uno dei nove gruppi di ricerca e sorveglia le coste del Brasile, dell’Uruguay e dell’Argentina, incomincia a fare i suoi calcoli: la “Graf Spee” è in navigazione da oltre due mesi, ha affondato 50 mila tonnellate di naviglio e pur essendo stata rifornita da una nave appoggio, l’”Altmark”, su cui ha trasbordato parte degli equipaggi delle navi affondate, deve essere a corto di carburante, di viveri e forse anche di munizioni. Che può fare dunque il corsaro, se non dirigersi rapidamente e direttamente a qualche porto neutrale e amico del Sud America, anzi, certamente, dell’estuario del Rio della Plata e a Montevideo? Harwood calcola, ricalcola e giunge alla conclusione: il Capo di Buona Speranza e l’estuario del Rio della Plata. La mattina del 13, immancabilmente, la corazzata tascabile deve apparire nei pressi delle acque uruguayane. E infatti, alle 6 e 14 minuti del 13 dicembre, dalla plancia dell’”Ajax”, Harwood scorge un filo di fumo all’orizzonte, verso il largo, a oriente. Il commodoro sa che lo attende una lotta mortale. Ciò che avverrà è come un calcolo matematico: la soluzione è, o dovrebbe essere, una sola. La “Graf Spee” può navigare a 26 nodi; la squadra britannica a 28 nodi. Il volume di fuoco della “Spee” è inferiore delle tre unità inglesi, ma i sei pezzi da 280 millimetri del corsaro sparano a 7 chilometri e 200 metri esatti più lontano dei sei 203 dell’”Exeter”. Harwood sa che, avvistati gli inglesi, la “Spee” invertirà la rotta, forzando al massimo le macchine e lasciandosi inseguire. I tre incrociatori inglesi potranno farsi sotto, raggiungerla, ma per attraversare la zona critica, i sette chilometri e duecento metri in cui il corsaro può sparare senza che gli inseguitori siano in grado di rispondere, “Exeter”, “Ajax” e “Achilles” impiegheranno mezz’ora, e in quella mezz’ora saranno devastati dai due pezzi da 280 della torre poppiera della “Spee”. Unico espediente che Harwood può adottare è la disposizione delle sue tre navi su un’ampia linea di fronte, in modo che il fuoco del corsaro sia il più disperso possibile. “Ajax” e “Achilles” appoggiano, e forzando le macchine tutti e tre gli incrociatori inglesi muovono all’attacco, gli equipaggi sono consapevoli del disperato squilibrio delle forze e della disparità della lotta. A questo punto, nel breve volgere di 180 secondi, avviene l’imponderabile.
Sulla plancia della “Spee” vi è il comandante, capitano di vascello Langsdorff, – “un abile e valoroso ufficiale”, – dirà Churchill nelle Memorie, ma un uomo stanco, logorato da settimane di tensione. In quei 180 secondi, Langsdorff compie un gravissimo errore: scruta la sagoma dei tre inglesi ed è convinto di avere a che fare con un incrociatore leggero e con due cacciatorpediniere. Può agevolmente affondarli con il suo superiore armamento. Invece di invertire prontamente la rotta, forza la velocità e muove contro il nemico. Le quattro navi convergono a quasi novanta chilometri l’ora. La squadra di Harwood supera d’un balzo la zona critica e quando la “Spee” apre il fuoco, alle 6,17, dalla distanza di 17 mila 500 metri, l’”Exeter” può rispondere prontamente. Le due navi muovono una incontro all’altra; a 11 mila metri, l’incrociatore inglese incassa un colpo nella torre B. E’ un colpo micidiale che uccide sessanta uomini e distrugge tutte le comunicazioni sul ponte. Ma l’”Ajax” e l’”Achilles”, da poco più di dodici chilometri, sparano a loro volta sul corsaro. La “Spee” lascia l’”Exeter” che ripara alla meglio i suoi danni e che pochi minuti dopo riprende il fuoco, e si rivolge contro l’”Ajax” che in breve tempo ha due torri fuori combattimento. Ma anche la corazzata tedesca è stata raggiunta dai colpi e danneggiata, anche se non gravemente, ed ha morti e feriti a bordo. Alle 6,36, Langsdorff fa ciò che avrebbe dovuto fare 22 minuti prima, inverte la rotta e incomincia a fuggire; “Ajax” e “Achilles” virano per l’inseguimento: l’”Exeter” incassa altri colpi, la sua ultima torre tace alle 7,30 e dieci minuti dopo l’incrociatore punta a sud, verso le Falkland dove sarà riparato. Affonderà, nel 1942, sotto le cannonate giapponesi, nella grande battaglia del canale della Sonda. Anche l’”Achilles” è stato colpito e Harwood decide di interrompere la lotta, tallonando da lontano il corsaro e aspettando la notte, per farsi sotto e attaccare con i siluri. La “Spee” mantiene intatta la sua forza, ha solo uno squarcio a prua, molto sopra la linea di galleggiamento e l’oceano vuoto e aperto dinanzi. Langsdorff decide invece di riparare nelle acque uruguayane. E’ il suo secondo errore, forse anche provocato da ragioni obiettive, dalla scarsezza del carburante e delle munizioni. Fa rotta su Montevideo e su quella che sarà la trappola mortale della “Graf Spee”. Il 13 dicembre, quando la corazzata tedesca entrò lentamente nel porto della capitale uruguayana (Montevideo), con le banchine incredibilmente gremite di folla e l’equipaggio tedesco nelle bianche divise estive schierato sul ponte, la partita non era tuttavia ancora conclusa. La nave avrebbe potuto rifornirsi rapidamente e riprendere il mare. L’”Achilles” e l’”Ajax”, con ridotte capacità di combattimento, erano in agguato al limite delle acque territoriali, e nella notte del 14 dicembre, furono raggiunti dal “Cumberland”, forte dei suoi otto cannoni da 203 mm. E tuttavia la “Spee” poteva ancora sperare, con la sua pesante corazzatura, con la su potenza di fuoco, con l’eccellenza tecnica dei suoi impianti (era munita anche di radar e gli inglesi non l’avevano ancora), in un combattimento vittorioso o, quantomeno, in un combattimento in cui avrebbe potuto infliggere altre perdite alla squadra di Harwood. Il tedesco Langsdorff, invece, si lasciò giocare.
Stanco e scoraggiato, questo singolare personaggio in cui si mescolavano stoico coraggio e fanatica reverenza per il “suo Fuhrer”, puntò tutto sull’ipotesi errata che il governo uruguayano avrebbe consentito alla “Spee” di rimanere al riparo nelle acque neutrali del porto di Montevideo. Si trattò, probabilmente, di una sottovalutazione dell’influenza politica e diplomatica inglese, un tipo di giudizio cui non era estranea l’impostazione generale della dirigenza politica e militare hitleriana. Il governo dell’Uruguay intimò alla corazzata tascabile di riprendere il mare, non appena ultimati rifornimenti e riparazioni, i servizi inglesi montarono una colossale mascheratura. Fecero giungere nell’estuario del Rio della Plata ingenti quantitativi di nafta, diffusero la voce che l’incrociatore da battaglia “Renown” e la portaerei “Ark Royal”, in quel momento lontani molte miglia e fermi a Rio per rifornimenti, si erano uniti alla squadra di Harwood. Uscire in mare e affrontarli sarebbe stato effettivamente un suicidio. Il 16 dicembre, Langsdorff telegrafava al comando navale tedesco: “Situazione strategica al largo Montevideo: oltre agli incrociatori e al cacciatorpediniere, arrivati “Ark Royal” e “Renown”. Blocco notturno molto stretto. Nessuna speranza di poter fuggire in mare aperto e aprirmi un varco verso la patria. Chiedo se la nave debba essere affondata, nonostante l’insufficiente profondità del Rio della Plata, o se sia preferibile l’internamento”, Hitler rispondeva: “Tentare in ogni modo di protrarre la sosta in acque neutrali. Se possibile, apritevi la strada combattendo verso Buenos Aires. Nessun internamento in Uruguay. Se la nave deve essere affondata, distruggetela completamente”.
Nel pomeriggio del 17 dicembre, issata la bandiera di combattimento, la “Admiral Graf Spee” mollò gli ormeggi e navigò lentamente per tre miglia. Trasbordò settecento marinai sul mercantile “Tacoma” e incominciò le operazioni di autoaffondamento. Furono aperti i “Kingston”, le saracinesche predisposte nello scafo, e le testate dei siluri furono appese ai boccaporti sovrastanti i depositi munizioni. La benzina fu sparsa sui ponti e fu appiccato il fuoco. Quando i cavi di canapa che sostenevano le testate dei siluri si infiammarono e si ruppero, le testate caddero esplodendo e la nave si inclinò, con lo scafo squarciato, sul basso fondale del Rio della Plata. Dai moli di Montevideo, dalle rive del fiume, la gente la vide avvolta d’improvviso in una nube di fumo e subito dopo scossa da una immane esplosione. La mattina dell’indomani bruciava tra soffi di vapore e bruciò per tre giorni. Langsdorff la sera del 18 si recò in un albergo di Buenos Aires e vi trascorse la notte, la giornata successiva e la notte sul 20 dicembre, quando si suicidò con un colpo di rivoltella: “Dopo un lungo conflitto interiore”, lasciò scritto, “sono giunto alla grave decisione possibile, dopo che avevo condotto la nave nella trappola di Montevideo. Data l’insufficienza di munizioni, qualunque tentativo di aprirmi la strada combattendo verso il mare aperto e profondo, sarebbe stato destinato a fallire. Non è necessario ricordare che per un comandante che abbia il senso dell’onore, il destino personale non può essere disgiunto da quello della sua nave”, proseguiva Langsdorff, “ … La sola cosa che ora bisogna fare, è dimostrare con la mia morte che coloro che combattendo servono il terzo Reich sono pronti a morire per l’onore della bandiera. Io sono responsabile dell’affondamento della “Graf Spee”. Sono felice di riscattare con la mia vita l’onore della bandiera. Affronterò il mio destino con la ferma fede nella causa e nel futuro della nazione e del mio Fuhrer”.
Di ben altre macchie doveva coprirsi la bandiera del Reich negli anni che poi vennero. Ma Langsdorff non lo poteva sapere, del resto, l’intero corpo degli ufficiali tedeschi se ne accorse assai tardi.
Settembre 2023 – Lucio Causo