Sfilata di Carnevale lungo il Corso principale di Gallipoli
Il Carnevale nel Salento ha radici molto antiche. Fino agli anni ’50 del secolo scorso, il Carnevale era una festa popolare che aveva la sua anima nelle focareddhe, ossia i falò che venivano accesi nelle piazze e nei crocicchi delle strade cittadine. Le numerose cataste di foglie e rami di albero d’ulivo si trasformavano in breve tempo in lingue di fuoco che il 17 gennaio, festa di Sant’Antonio Abate, ardevano fino all’imbrunire. Erano i fuochi (focare) di Sant’Antonio, protettore del fuoco e degli animali domestici, che ardevano in suo onore per tutta la sera, fino a diventare brace. Intorno ai falò si raccoglievano in cerchio giovani tamburellisti che suonavano e cantavano tarantelle, invitando le coppie ad esibirsi in una fantastica danza propiziatoria carica di antichi significati e colori. Alla fine della serata, alcune donne, con il coppu di argilla annerito dall’uso, e la paletta di ferro, raccoglievano la brace per scaldarsi le mani e una volta diventata cenere la spargevano sul terreno che coltivavano per propiziarsi una buona annata agraria. La raccolta della cenere all’inizio della baldoria carnascialesca era un rito che segnava la fine del Carnevale e l’inizio della Quaresima: il mercoledì delle Ceneri. La sacralità della cenere dei falò derivava dal fatto che il fuoco fosse un tributo di ringraziamento a Sant’Antonio. Nelle città di mare, si utilizzava la cenere dei falò per lanciarla verso le onde in tempesta per propiziarsi il rientro dei propri congiunti impegnati a pescare al largo nei malaugurati giorni di inatteso fortunale. Il fuoco è sempre stato usato per significare gioia e allegria e per celebrare avvenimenti felici. In alcune occasioni si sparavano fuochi d’artificio e in altre si accendevano falò e candele. La tradizione delle focareddhe col passare del tempo andò scemando anche se ancora oggi in alcuni paesi del basso Salento lu focu te Sant’Antonio ( focara di antica memoria) continua ad essere acceso con un unico grande falò.
L’Italia stava cambiando: la crisi agricola, seguita da quella economica, dei primi anni del ‘900 aveva provocato, specialmente nelle regioni del Mezzogiorno, l’emigrazione di massa, le lotte sindacali, gli scioperi, l’interventismo, la prima guerra mondiale, i disagi del dopoguerra, la mancata consegna della terra ai contadini, le lotte sindacali, il biennio rosso, l’avvento del fascismo, la seconda guerra mondiale, la resistenza e la liberazione con l’arrivo degli americani che cambiarono ogni cosa. Nel Salento, come in tutta l’Italia, il Carnevale da subito diventa occasione di gioia, di festa, di movimento: la gente indossa maschere e costumi di ogni tipo e si riversa nelle strade e nelle piazze per divertirsi. Le abitazioni, le sale e i teatri, vengono aperti a feste che si concludono danzando la”pizzica pizzica”, eseguita con ritmi vivaci, ma non travolgenti. La festa carnascialesca impazza! Nei fine settimana, il giovedì grasso, la domenica e l’ultimo martedì di carnevale, le presenze di maschere e di folla aumentano sempre di più. Tra maschere e persone che hanno voglia di divertirsi il movimento è tanto. A complicare la situazione si aggiunge il lancio dei cacai, candallini e curianduli, con i bambini che sgattaiolano tra le gambe degli adulti per raccoglierli. A fine serata, il basolato delle strade, dopo la sfilata delle maschere, si trasforma in un unico tappeto di coriandoli. I cacai sono confetti rivestiti di zucchero colorato di due tipi: quelli originali, con lo zucchero che custodisce un cuore di mandorla; quelli “da getto”, con il nucleo centrale di gesso che costano di meno. I candallini sono confetti sottili di forma cilindrica allungata di colore chiaro con una sottile anima di cannella. Poi le “mendule ricce” di forma cilindrica arricciata con la mandorla rivestita di glassa di zucchero bianca. Sono bianchissime e dolcissime. Negli anni ’50 e ’60 erano di moda per il Carnevale i veglioni in maschera organizzati nei cinema e nei teatri, con ampia pista di ballo, palco per l’orchestra e tavolini per le consumazioni. Allo stesso modo erano organizzati i “festini” nelle abitazioni. Ma anche questi eventi col tempo cessarono.
La domenica della Pentolaccia si festeggiava a metà Quaresima. Era una festa che si svolgeva in famiglia o in sale e veglioni. La pentolaccia era una pentola di terracotta (pignata) appesa al soffitto e riempita di confetti, dolciumi e coriandoli. La sua larga bocca era chiusa con una pezza. Quando era il tuo turno ti bendavano gli occhi con un fazzoletto. Poi qualcuno ti dava un grosso bastone e ti faceva girare e rigirare su te stesso per farti dimenticare dove si trovava la pentolaccia. Dovevi cercare di romperla con il bastone. Perciò continuavi ad agitare il bastone nell’aria finché non la rompevi. E allora ti liberavi della benda e correvi a prendere i regali e i dolci della vittoria. Di solito il rito della pentolaccia era preceduto e seguito da balli come la “pizzica pizzica” e la quadriglia; per quest’ultima il corteo di coppie danzava seguendo le figure suggerite dai comandi del maestro di ballo in francese maccheronico. Un grande divertimento! La Pentolaccia era un’occasione in più per fare festa, perché dopo arrivava la Quaresima, che era rappresentata da una Vecchia seduta col fuso in mano – la Caremma – il cui fantoccio appariva appeso nei crocicchi delle strade e poi veniva bruciato in un falò a fine Carnevale. Essa rappresentava il simbolo della penitenza dopo i fasti carnascialeschi.
Ai primi anni della seconda metà del XX secolo (anni’50) quella diffusa voglia di divertimento chiassoso e spensierato che si manifestava nel festeggiare il Carnevale, lasciò il posto ad altre manifestazioni di divertimento sempre più numerose, diversificate e popolari. Erano gli anni della televisione, di “Lascia o raddoppia” e “Il musichiere”, la gente usciva di casa per incontrarsi nei bar, nei pub e nelle pizzerie. Erano gli anni della pubblicità, con “Carosello”, delle grandi vetrine di elettrodomestici, del cinema, dei teatri e degli spettacoli all’aperto. La gente voleva divertirsi e di farlo in pubblico. Le strade impoverite di maschere a Carnevale cominciarono a suggerire qualcosa di nuovo e di diverso. Si pensò subito alle sfilate in maschera lungo il corso della città, con la partecipazione di coppie e gruppi mascherati, accompagnati da tanta musica, fiori e coriandoli, ed arricchiti dai primi carri allegorici e grotteschi in cartapesta, sulla scia dei carnevali di Viareggio e di Putignano.
Nel 1954, a Gallipoli, città di antiche tradizioni, grazie all’impegno assunto dai dirigenti della locale Associazione Turistica (Pro Loco), dal sindaco pro-tempore e da un gruppo di imprenditori, artisti e artigiani del luogo, nacque il Carnevale di Gallipoli che col tempo riuscì a conquistare tutti i Salentini, e non solo, che ogni anno accorrevano numerosi a Gallipoli, con le famiglie e gli amici, per festeggiare le maschere e i carri allegorici della “città bella”. Le sfilate dei carri di cartapesta continuarono fino al 1973, anno in cui si chiuse il primo ciclo per crisi sopravvenute, e dopo la ripresa del 1979 andarono avanti fino ai giorni nostri, salvo le interruzioni del 2012 per crisi politica e del 2021 per pandemia. In quegli anni memorabili sul Corso Roma di Gallipoli sfilarono carri favolosi sempre più elaborati e fantastici, e tanti gruppi mascherati sempre più ricercati e originali, che cantavano e lanciavano coriandoli verso il pubblico plaudente. La gioia e il divertimento della gente si notava dappertutto. Il Carnevale di Gallipoli con le sue tradizioni, le sue feste mascherate, i suoi carri allegorici, i suoi maestri della cartapesta, ormai apparteneva alla storia.
Come già detto, i dolci della tradizione carnascialesca salentina sono le “chiacchiere”, che hanno la priorità assoluta, seguite dalle “castagnole”. Le prime sono leggere e allegre. Il dolce più facile da preparare e il più birbante, come dicevano le nonne. Le chiacchiere devono presentare un bel colore dorato e devono essere friabili, fino al punto di sciogliersi in bocca. A volte tendono a biscottarsi, a secondo del tempo che fa. Le “castagnole” hanno diversi punti di contatto con le “chiacchiere”, sia per ingredienti, che per lavorazione. Sono di forma rotonda, come palline lisce colorate, con una doratura uniforme. I veri e propri dolci tradizionali del carnevale sono i “cacai”, i “candallini” e le “mendule ricce”, di cui abbiamo parlato prima. La pietanza dell’ultimo giorno di carnevale è costituita dalla pasta con il sugo nonché dalle polpette, fritte in olio o cotte al sugo o in entrambi i modi. Maccheroni e polpette sono il classico piatto del nostro Carnevale.
L’origine del nome “coriandoli”, dato ai “confetti”, “cacai” e “mandorle ricce” è dovuta ai vari contatti che la gente delle nostre città marinare aveva avuto con gli arabi ed altre popolazioni del mare Mediterraneo, che avrebbero introdotto nella nostra terra quei dolcetti già da alcuni secoli. Così pure per i dischetti di carta colorata che di solito si gettano sulla folla in occasione del Carnevale e di altre feste.
Il Carnevale gallipolino è unico nel nostro Salento per tradizioni, arte e cultura. Le sfilate dei maxi carri di cartapesta con gruppi mascherati sono state fatte e si continuano a fare solo a Gallipoli. Negli altri paesi in cui si parla di feste di Carnevale, si sono fatti e si continuano a fare piccoli Carnevali con piccoli carri di maschere, improvvisati o presi in prestito da fuori.
L’esigenza di dare continuità, stabilità e forza al Carnevale gallipolino è passata attraverso il tentativo di coinvolgimento dei Comuni vicini per costituire un consorzio che promuovesse e gestisse la manifestazione. Il tentativo però ebbe scarsi risultati. Nella primavera del 1997 l’Associazione che organizzava il Carnevale, d’intesa con l’amministrazione comunale, aderì alla Federazione Europea delle Città del Carnevale, con sede ad Amsterdam, ma l’iniziativa non produsse i risultati sperati e si esaurì dopo qualche anno. Nel 2004 fu tentata la costituzione della “Fondazione Carnevale Città di Gallipoli” che fu accolta tiepidamente dall’opinione pubblica. Ma per la mancanza di risorse finanziarie, contrasti interni all’organizzazione e dubbi sulla buona riuscita della Fondazione, l’esperienza non andò oltre la costituzione del direttivo. Seguirono poi nel 2008 l’abbinamento della Festa del Carnevale gallipolino alla Lotteria Nazionale e nel 2020 il coinvolgimento nella rete dei Carnevali di quello gallipolino con la partecipazione al “Summer Festival di Putignano” e la campagna di promozione intitolata “La Puglia che non ti aspetti” che esaltava gli eventi della tradizione carnevalesca regionale.
Febbraio 2024 – Lucio Causo